Ma che (bella) noia!

Vorrei parlarvi della noia. Nello specifico della sua utilità.
Perché sì: la noia può diventare utile, anche se socialmente parlando, la sfuggiamo come facciamo con i vicini antipatici al momento del rientro a casa la sera.
Oggigiorno, sin da bambini la società impone degli standard basati sul “riempimento” del tempo: i bimbi (ma anche gli adolescenti e gli adulti), sono zeppi di impegni, fisici e mentali: la scuola, il dopo-scuola, gli scout, lo sport, i compiti, le feste di compleanno, la realtà virtuale data da una perenne “accensione” della soglia attentiva su stimoli digitali. Praticamente è come se fossimo nella condizione di essere continuamente “con il motore acceso”.
Abbiamo a disposizione (e se non ce l’abbiamo, le ricerchiamo) una serie di alternative per non abbandonarci a questa temutissima sensazione che ci pervade. Abituati come siamo a “fare sempre qualcosa”, ci troviamo spiazzati nel momento in cui non abbiamo nulla da fare.
E per nulla non intendo “guardare la tv sdraiati sul divano”. Intendo proprio “nulla”.
Il fatto è che non siamo più in grado di tollerare la noia. E’ come se il nostro termostato mentale fosse tarato su un livello di attività altissimo e il cui ripristino al livello zero risultasse molto difficoltoso, abituato com’è a un ritmo frenetico.
Ma servirà a qualcosa, questa noia?
Nei pomeriggi “fatti di niente”, di quando nei primi anni ’80 eravamo bambini e di quando ancora non c’erano tutte le risorse tecnologiche e dopo-scolastiche di adesso, capitava che tra un calcio al pallone e l’ennesima testa della Barbie che si staccava, ci ritrovavamo a non saper cosa fare.
Osservavamo tra le nostre mani il legnetto raccolto da terra mentre nessun mezzo motorizzato passava lungo la via per intere mezzore: c’eravamo noi e solamente altri due o tre ragazzini con cui chiacchierare.
Si parlava, si litigava, si faceva pace. Si viveva, insomma. E lì, nell’apparente nulla di una desolazione di cose da non-fare, accadeva la magia. Idee, scambi di figurine o di timori per i compiti in classe, si inventavano nuovi giochi con le poche risorse disponibili, il tutto usciva liberamente dalle nostre menti senza protocolli definiti. La magia della noia. Il senso di libertà dagli schemi e il divenire della creatività. La noia ne era la regina.
Dalla noia emergono i sogni. Dalla noia emergono le idee, le idee brillanti e innovative. Emergono perché mancano gli schemi, emergono perché quando non abbiamo niente da fare, si arricchisce il numero di variabili utili per la risoluzione di problemi, anche pratici, la cosiddetta capacità di problem solving. Quando tutto ci è dato, non facciamo lavorare la nostra mente, semplicemente ci adagiamo su protocolli definiti e forniti da altri, imparando a memoria le loro idee.
Una ricerca pubblicata su una rivista (Frontiers in Psychology) conferma quanto sia importante stimolare i bambini attraverso giochi poco strutturati, lasciando loro libertà nella definizione delle regole e nei luoghi di svolgimento (meglio prediligere l’aria aperta).

Non dobbiamo quindi sentirci in colpa se non programmeremo ai nostri figli l’intera giornata extra-scolastica. Aiutiamoli loro a stimolare la creatività, non sentiamoci in colpa se ci sembra che si stiano annoiando: stiamo offrendo loro un bene prezioso e raro in questa società che ci impone efficacia e velocità, dove il multitasking (con tutti i suoi pro e contro), la fa da padrone.

(Ringrazio l’artista Giada Floris per la gentile concessione dell’immagine che mi ha ispirato questo post).

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