Tanto pe’ cantà… ma che agitazione!
Perché me sento un friccico ner core: letteralmente.
L’arte del canto, ma anche della musica in generale rappresenta un modo per esprimere le proprie emozioni, sublimando in maniera artistica vissuti, pensieri e storie di vita personali. Cantare nella cultura popolare rappresenta da sempre un’immagine di spensieratezza e libertà, ma in alcuni casi questa può venire meno, specie quando si parla di performance.
Oddio e se sbaglio? E se non prendo l’attacco giusto? E se mi trema la voce…? E se faccio brutta figura… cosa penseranno tutti di me? Questi sono solo alcuni esempi di tutte quelle brevi e tremende frasi che ci passano nella mente nell’esatto momento in cui ci accingiamo tremanti a salire su un palco (o ad esibirci in qualsiasi forma davanti ad un pubblico).
L’immaginazione nella nostra mente diventa la fotografia reale di quello che pensiamo di noi: se pensiamo (scusate la ripetizione) che faremo brutta figura, questa diventerà automaticamente una fotografia catastrofica: forse non abbiamo idea di quanto le immagini possano avere un peso devastante nella nostra psiche!
Basti pensare che esse, come altri input sensoriali, vengono decodificate e create dalle medesime aree del cervello che trattano le informazioni provenienti dall’esterno, quindi attraverso la retina. Cosa significa questo?
Significa che immaginare di vedere determinate cose o vederle “davvero” per il nostro cervello è la stessa identica cosa.
Il nostro substrato neurale prende sul serio le immagini che ci creiamo, così come i pensieri (soprattutto quelli tremendi) e quindi le nostre ansie, che amo comunemente ed amichevolmente definirle “pippe mentali”. Per i nostri neuroni le pippe mentali che ci sabotano hanno una verità di fondo, e queste ci portano a credere per davvero che “noi non valiamo nulla”. Prendendo questo pensiero alterato e considerandolo un dato di fatto, ci predisporremo a comportarci come tale.
Adottando l’infausta ottica del “è inutile impegnarsi perché tanto non ci riusciremo mai” va da sé che il nostro impegno verrà ridotto al minimo e quindi permetteremo all’ immagine mentale o al pensiero di avverarsi.
Tornando a noi, se nel momento in cui stiamo per afferrare il microfono o la chitarra per esibirci siamo investiti da un’ondata di immagini e pensieri negativi quasi sicuramente ci immobilizzeremo e inizieremo a tremare, poiché la minaccia è vicina, così come il temuto fallimento.
Siamo davvero dei falliti? In realtà ci sentiamo così solamente nelle nostre pippe/immagini/pensieri mentali, ma come abbiamo visto finiremo per crederci: in un certo senso facciamo tutto da soli! Ecco perché risulta utile parlare con un professionista dei nostri “pensieri negativi”, quelli automatici che finiremo per considerare veri, perché solamente andando a ritroso e indagandoli in un’ottica psicoterapeutica riusciremo a capire perché si sono instillati nella nostra mente, spesso in un’età molto precoce.
Secondo A.T. Beck, uno dei fondatori della terapia cognitivista, la sofferenza genera dei pensieri negativi (disadattativi) che producono effetti avversi sul comportamento. Se da bambini si è stati esposti ad eventi avversi (per es. continue critiche o sfiducia da parte di adulti o dal gruppo dei pari, ma non solo) è possibile che si instaurino credenze disfunzionali che in futuro diventeranno automatiche sotto forma di pensieri. Suona più o meno come: se sin da piccolo mi sono sentito dire “sei sempre il solito sbadato” succederà che questo diventerà un marchio stampato a fuoco nella percezione che ho di me.
E quindi appena dovrò iniziare a parlare davanti al pubblico, sicuramente mi cadrà il foglio degli appunti (o il microfono).
Stare meglio si può, mettersi in discussione è importante, così come lo è non desiderare solamente di “eliminare il sintomo”, quindi la tachicardia o il tremore che si presenta prima della performance.
I sintomi fisici rappresentano solamente la punta dell’iceberg di un malessere più profondo e antico, che merita attenzione e supporto.
Riferimenti:
Beck, AT (1975). Terapia cognitiva e disturbi emotivi . Madison, CT: International Universities Press, Inc. ISBN 0-8236-0990-1
A. Ellis (2015) L’autoterapia razionale-emotiva. Come pensare in modo psicologicamente efficace. Erickson.
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