Federica Merlini

Dipendenza da gioco d’azzardo: cosa fare?

Come trattato in uno dei post precedenti, l’azzardopatia è considerata come una dipendenza che coinvolge ed affligge la persona da diversi punti di vista, creando un pericoloso circolo vizioso che coinvolge:

Infine, ma non per importanza, ricordiamo che anche a livello emotivo vi è una componente significativa che contribuisce a perpetuare le giocate: il cosiddetto chasing (la rincorsa delle perdite) dettata dalla disperazione, (Lesieur, 1977).

Innanzitutto, cosa intendiamo per “gioco d’azzardo”?

Lotterie istantanee come i gratta e vinci, il Superenalotto e il Lotto (definiti giochi numerici a totalizzatore), il Bingo, le slot machines, rientrano tra i giochi puramente definiti come “aleatori”.

Il giocare d’azzardo esisteva già nell’antica Grecia, basti pensare che esistevano dei luoghi adibiti al gioco al di fuori dei quali padroneggiava la scritta “panem et circenses” (cibo e scommesse). Visto l’espandersi incontrollato delle dipendenze, già a quell’epoca dovettero  emettere dei provvedimenti per controllare il fenomeno (Croce e Rascazzo, 2013).

Ma riassunto tutto ciò, quale sarebbe l’intervento più efficace per affrontare e trattare questa condizione così complessa?

In ottica terapeutica un aspetto fondamentale è la psicoeducazione. Spiegare al paziente quanto sia determinante il suo stato d’animo nella predisposizione alla giocata: renderlo partecipe di quanto accade a livello psicologico ma anche a livello neurologico (spiegare il ciclo della ricompensa o l’illusione del controllo, per esempio). Mettere nero su bianco quanto risulti fin troppo facile essere assorbiti dall’irrazionalità della superstizione prima della fatidica puntata, è il primo passo fondamentale per iniziare un percorso positivo.

In secondo luogo, anche se può sembrare “ovvio” ai più, è importante discutere con il paziente di come il gioco d’azzardo sia caratterizzato nel modo più assoluto dalla casualità: definito appunto “alea”, da cui aleatorio, ci si affida al caso e il giocatore non ha nessuna influenza sull’esito. Mettere quindi in discussione il “pensiero magico” della persona, quella parte di irrazionalità che alberga nell’animo umano nel momento in cui sta per arrivare una ricompensa -più o meno lauta-.

In molti casi risulta necessaria una terapia farmacologica integrata di supporto alla psicoterapia: è cosa saggia rivolgersi ad uno psichiatra di fiducia, il quale prescriverà il farmaco adatto (nella fattispecie un antidepressivo SSRI), tenendo presente come già detto, che la dipendenza e soprattutto l’astinenza è sovrapponibile a livello cerebrale e chimico a quanto accade in qualsiasi altro tipo di dipendenza.

E’ bene considerare che esistono diversi approcci di terapia, in molte ASL organizzano anche incontri di gruppo gestiti da educatori, medici e psicoterapeuti, i quali oltre a fornire supporto e psicoeducazione offrono la possibilità di far emergere e condividere il proprio vissuto con i presenti, andando a ricreare e implementare le capacità sociali che spesso si sono deteriorate nel decorso della dipendenza, a causa dell’autoesclusione e di uno stato depressivo reattivo alle (più o meno ingenti) perdite e compromissioni familiari.

Riferimenti:

Il gioco d’azzardo patologico. Esperienze cliniche, strategie operative e valutazione degli interventi territoriali, A. Lucchini Ed. Franco Angeli, 2016

GAP Il gioco d’azzardo patologico. Orientamenti per la prevenzione e la cura. G. Lavanco, Pacini editore, 2013

Baroncelli E. “Attualità in psicologia”, 2003

Il gioco d’azzardo patologico: inquadramento diagnostico e valutazione

Del Miglio C. e Vallecoccia S., “Attualità in psicologia”, 2003

Fenomenologia, ipotesi biologiche e trattamento farmacologico del gioco d’azzardo patologico (GAP) Giannelli G. e Smeraldi G.