Paura di amare: la filofobia
La filofobia dal greco “φιλος” (amore) e “φοβία” (fobia) viene definita come la paura anormale, ingiustificata e persistente di amare una persona.
Amare. Definire che cosa significa la parola “amare” risulta un’impresa stoica, dal momento che per millenni filosofi e poeti si sono prodigati per provare a definire questa condizione umana causa di gioie ma anche di altrettanti dolori.
Risulta importante soffermarsi su questo aspetto prima di definire perché una persona ad un certo punto necessita di prenderne le distanze: che cosa significa innamorarsi?
Innamorarsi è la condizione più pura e reale che prova il neonato dopo il primo vagito, la condizione entro la quale cerca di mantenersi “vivo” e al sicuro attraverso il richiamo (separation call) di una figura da lui ritenuta importante. Innamorarsi vuol dire attaccarsi emotivamente, affidarsi all’altro, mostrargli le nostre debolezze e fragilità.
E’ quindi un atto di fiducia e “fidarsi” affonda le radici psicologiche nei primi anni dello sviluppo emotivo di qualsiasi individuo. Solamente se mi fido di un’altra persona che considero importante io posso permettermi di essere me stesso, credere nelle mie capacità, di esplorare il mondo e di evolvermi.
La teoria dell’attaccamento di Bowlby definisce “attaccamento sicuro” quel legame sano che esiste tra bambino e figura di riferimento (solitamente la madre, ma non necessariamente). L’obiettivo di questo attaccamento sicuro è il raggiungimento da parte del bambino di una condizione di protezione: la figura di riferimento rappresenterebbe la base solida in cui egli può rifugiarsi quando sta male o quando si presentano situazioni avverse di diversa natura. Non sempre però questo attaccamento si sviluppa in modo funzionale: può capitare che ad un certo punto qualcosa vada storto.
Talvolta questo amore, questa condizione di fiducia incondizionata da parte del bambino può non esistere, oppure può essere inquinata, apertamente ostacolata o distrutta dalla figura adulta: viene quindi meno la sua funzione riparatrice fonte di amore e di protezione. Ecco che allora fidarsi può diventare per il bambino il grande inganno che ha sperimentato in tenera età e da cui deve riscattarsi o allontanarsi per sopravvivere. La sfiducia, unitamente alla paura, alla tristezza e alla rabbia, può influenzarlo per il resto dei suoi giorni, diventando uno schema disfunzionale (definito anche trappola da J. Young).
L’amore ci nutre, ma il bisogno di essere amati ci può anche distruggere.
Il bambino, ora divenuto adulto, come può proteggersi da queste angoscianti emozioni onde evitare che possano sopraffare il suo equilibrio psicologico? Le soluzioni possono essere diverse, tutte atte a mantenere il controllo sui propri stati interni e altresì allontanare la paura della sofferenza sperimentata in tenera età. Ecco perché nel caso della persona “filofobica”, questa cercherà di evitare tutte quelle situazioni in cui deve esporsi emotivamente all’altro, perché per lei risulta troppo atroce associare all’amore la condizione di sofferenza.
In un certo senso questa persona è come se si sentisse implicitamente obbligata a rendersi “sentimentalmente anoressica” per proteggersi dall’affanno dell’abbandono, esasperando il proprio bisogno di indipendenza.
Riferimenti:
Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. J.Bowlby 1989, Raffaello Cortina Editore.
Perchè ho paura di amare. J. Powell 1972 Gribaudi Ed.
Reinventa la tua vita. Jeffrey E. Young, Janet S. Klosko 2004, Raffaello Cortina editore
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