Quando i social network ci rendono meno “social”

L’utilizzo dei social network -alcuni tra i preponderanti come Facebook e Instagram- sta creando un nuovo scenario generazionale dove a svolgersi non è più la consueta routine quotidiana, ma la sua trasposizione “virtuale” che scandisce la propria esuberante esistenza a colpi di Like ed emoticons (emotion icons cioè icone delle emozioni).

Emozioni appunto che sul Web acquisiscono un significato completamente diverso, talvolta amplificandolo fino a storpiarlo, talvolta perdendolo. Si “litiga” su WhatsApp come se fosse normale, ci si commuove in completa solitudine mentre si guarda un nuovo video che circola su Fb, si ride fino a farsi venire il mal di pancia guardando lo schermo dello smartphone mentre davanti ai nostri occhi sfilano video divertenti… le emozioni “circolano” in modo virtuale , ma alla fine la verità, è che rimangono al mittente. Ovviamente capita che, imbattendosi in qualche link simpatico, ci si emozioni in qualche modo positivamente: il fatto di emozionarsi è già una bella notizia, il problema è che questi stati d’animo li viviamo in solitudine. Emozioni che avrebbero una funzione adattiva e pro-socializzante come la gioia o la rabbia, finiscono a non dover più regolare i rapporti umani nella loro “realtà” quotidiana ma a rimbalzare contro il muro di gomma dei display.

Ecco che, se a livello evolutivo, un sogghigno di scherno avrebbe la funzione di spaventare l’avversario per allontanarlo, nella realtà virtuale acquisisce un altro fine: il cosiddetto odio afinalistico proprio degli “hater”, il quale assume sembianza grafica nelle risposte provocatorie e denigranti proprie di chi mette in atto provocazioni gratuite.

Ecco che allora viene meno il fine ultimo delle emozioni, cioè lo scambio reale atto a definire i rapporti umani.  Le emozioni “non espresse direttamente” all’altro implodono nel nostro corpo e si trasformano, diventando spesso patologie psicosomatiche.

Quindi, alla luce di tutto questo, quale sarebbe l’approccio più corretto da adottare nei confronti dei dilaganti social?

Sarebbe inverosimile consigliare di non utilizzarli in toto, dal momento che viviamo in un mondo in cui il loro utilizzo permette anche di mantenere il contatto con certe persone care che si trovano a migliaia di chilometri da noi. La raccomandazione più sensata è di mantenere una “comunicazione parallela” diretta, attraverso la voce, la gestualità, l’ espressione diretta delle emozioni. Il cellulare non deve diventare il surrogato ultimo o il tramite della nostra persona: quindi se da un lato possiamo anticipare via WhatsApp una determinata informazione, specialmente se questa è importante prendiamoci il tempo per comunicarla anche direttamente alla persona.

Viceversa, questo tipo di comunicazione diretta pretendiamola dagli altri: il tempo che ci impieghiamo non sarà mai sprecato, diventerà anzi tempo “di qualità”.

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