Sbagliando “si crea”: il pensiero creativo!
Il pensiero creativo nasce da un’innata propensione all’arte? Nasce da qualche gene ereditato ad hoc da qualche parente che si intratteneva con tela e pennelli o si esercitava giorno e notte al pianoforte?
Sì, ma anche no.
La creatività, che ci crediate o no, nasce almeno in parte dalla noia.
Abbiamo già visto un articolo precedente dedicato alla noia: si tratta una sensazione grigia, senza apparente personalità che ci invade quando non abbiamo nulla da fare o quando non siamo nelle condizioni per fare qualcosa. La noia è l’humus vitale che ci catapulta in uno stato di libere associazioni all’interno delle quali si incrociano le variabili più impensabili e paradossali: la noia, passando dal pensiero passivo può portarci in uno stato di insight meraviglioso proprio per il fatto che siamo costretti ad uscire dai binari della formalità logica e dal pensiero collettivo.
La noia ci restituisce in un certo senso la nostra unica e dignitosa individualità poiché a ben pensarci, le idee migliori sono quelle irripetibili, personali ed originali. L’originalità dell’oggetto creativo sta proprio nel fatto che non ha repliche.
A questo proposito, è stato condotto uno studio pubblicato sulla rivista British Psychological Society, condotto dalla dottoressa Sandi Mann.
Nell’esperimento, sono state consegnate due tazze di polistirene ad ottanta persone in età adulta. Al primo gruppo è stato chiesto di svolgere un compito noioso per circa quindici minuti, mentre al secondo no. La consegna per entrambi i gruppi era quella di pensare a tutti i possibili usi che si potevano fare con le tazze. Emerse che il gruppo “annoiato” riuscì a trovare un numero di idee maggiori rispetto il gruppo di controllo, che non si era annoiato.
Lo psicologo americano del primo novecento, J.P. Guilford si rifà al concetto di “pensiero divergente” per indicare quella modalità cognitiva strettamente connessa al pensiero creativo: la creatività è un modo di pensare fluido che rompe gli schemi conosciuti, dando origine a qualcosa di nuovo. La divergenza sta proprio nell’apertura di diverse strade ipotetiche, opposta al concetto di convergenza.
Anche il collega Jerome Bruner argomentò quanto fosse importante promuovere il pensiero divergente nell’ambito educativo e pedagogico. Dal momento che spesso si incoraggia e viene “premiata” l’unica risposta considerata “vera” (convergente) ad esclusione di altre non completamente errate ma frutto di ragionamenti “divergenti” ed azzardati, si tende in un certo senso ad omologare le menti. Il problema nasce nel momento in cui la probabilità di sbagliare frena gli studenti nel proporre soluzioni alternative, creative ed originali.
Sbagliare è visto spesso ed unicamente come un fallimento da cui allontanarsi, poiché ti marchia come “asino”, lavativo, non abbastanza bravo… Sbagliare è una forma di creatività che dilata, sviluppa in un certo senso le nostre mappe mentali e la verità è che occorrerebbe riappropriarsi di questa sana ed importante forma di sperimentazione.
Un moto di speranza lo abbiamo ereditato dal pensiero di Anna Freud, che scrisse: “Le menti creative riescono a sopravvivere anche ai peggiori sistemi educativi.”
Anche il famoso pittore Vincent Van Gogh descrisse con semplici ma penetranti parole il bisogno di coltivare il proprio pensiero creativo: “Non soffocare la tua ispirazione e la tua immaginazione, non diventare lo schiavo del tuo modello”.
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