Le minacce, quelle serie, sono queste: invitare una persona a recarsi da uno psicologo per fare un colloquio.
Quante volte vi è capitato in modo più o meno velato, questo tipo di situazione?
Ovviamente questa è la versione più ironica, poi c’è l’altra.
Quella in cui una persona mortificata ti racconta “dell’amico che soffre” o “del figlio dell’amica che ha dei problemi” e tu, da psicologa, le suggerisci saggiamente di rivolgersi ad un professionista.
La risposta che spesso mi è arrivata, con tanto di voce angosciata e viso contrito, suona più o meno così: “Ma come faccio a dirle che DEVE andare dallo psicologo?!”
Appunto: come si fa a dirglielo?
Perché mai una persona dovrebbe avere timore di proporre all’amico sofferente una soluzione così sensata?
Perché la stessa cosa non succede quando l’amico teme di avere problemi di pressione arteriosa, di miopia, o di glicemia? Perché non ci facciamo problemi a consigliargli di andare da un diabetologo, da un medico di base o da un ottico?
Rivolgersi ad un professionista che opera nell’ambito della “psic” probabilmente rappresenta ancora oggi un tabù a livello culturale, ma voglio credere che ci siano anche altri aspetti da indagare.
La diffidenza verso un professionista che apparentemente “opera senza materiale” è un grande scoglio, così come affidare ad una persona sconosciuta i propri timori, angosce e paure.
Senza contare poi lo stereotipo che ci porta a pensare che “se vai dallo psicologo, sei matto”.
Molte volte mi sono chiesta: ma davvero, avere problemi di natura emotiva ci porta a credere di essere l’ultimo dei deboli, senza possibilità alcuna di redenzione?
Sapessero!
Sapessero che in realtà la persona che ha il coraggio di suonarci il campanello rappresenta quella che molto probabilmente possiede qualche asso nella manica in più, quella che è disposta a “pagare” pur di avere una rivincita sul proprio stato emotivo e sulle incessanti e negative rimuginazioni mentali…
Sapessero che la persona che ci suona il campanello spesso è l’unica in tutto l’entourage familiare ad avere una sana consapevolezza di un disagio condiviso e rappresenta la cartina tornasole dei problemi irrisolti di altri componenti della famiglia: la persona che viene al colloquio con noi, rappresenta spesso il tassello più sensibile del puzzle.
La prossima volta che una persona mi dirà: “Ma come faccio a dirgli che deve andare dallo psicologo?” le dirò di comunicarglielo così, con semplicità e in modo diretto, consapevole del fatto che non si tratta di una minaccia.
Perché non si tratta di un insulto o di un avventato malaugurio, ma di una potenziale soluzione che le si sta offrendo.